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Pop Story - Filter Bubble

Cos’è il Filter Bubble?

Il Filter Bubble è il risultato di algoritmi che, a furia di personalizzare i contenuti in base agli interessi degli utenti, finiscono per mantenere tali utenti chiusi nella bolla dei propri argomenti preferiti.

Arrivo in ufficio, apro il computer e inizio a pianificare una campagna di digital advertising. Prima cosa: definire il target.

A seconda della piattaforma, posso intercettare il target sulla base di diversi parametri, ma il risultato non cambia: non posso permettermi di disperdere il budget del cliente, quindi devo fare in modo che il mio annuncio raggiunga esattamente le persone interessate al prodotto e propense all’azione che desidero ottenere.

Tutto questo è meraviglioso.

Poi apro un social network, ad esempio Facebook, e nel mio feed trovo tutto ciò che mi interessa. Come mai? Perché i contenuti sono selezionati in base alle mie logiche di navigazione: pagine che ho già commentato, amici con cui ho interagito più spesso. E tutto il resto? Probabilmente non è rilevante per me, sarebbe una perdita di tempo e la piattaforma sta ottimizzando i miei minuti di navigazione, mentre aspetto l’autobus.

Tutto questo è meraviglioso. Davvero?

Ti consiglio un piccolo esperimento. Parla con le persone che conosci (meglio se non sono tuoi amici stretti, quindi con interessi e comportamenti diversi dai tuoi) e chiedi loro cosa pensano di Facebook. Scoprirai che ognuno restituisce l’immagine di un luogo virtuale completamente diverso da quello che sei abituato a frequentare tu. Magari se ne lamenteranno, oppure ne saranno felici, ma non sarà il posto che tu conosci. Mi è capitato di sentire dire che è impossibile destreggiarsi tra le richieste di amicizia di gente sconosciuta con messaggi un po’ azzardati, ma a me non è mai successo. Alcuni mi hanno detto che ci sono soltanto foto di cuccioli e gif stupide, ma nel mio caso devo dire che sono una minoranza dei contenuti che vedo.

Siamo nello stesso posto? Sì e no. Utilizziamo la stessa piattaforma, certo, ma il concetto di “posto” è del tutto diverso da quello a cui siamo abituati. Questo è un luogo liquido, che cambia a seconda del momento e delle persone, che si plasma sulla base dei miei interessi, dei miei comportamenti e di quelli dei miei amici.

Tutta questa faccenda ha un’implicazione non proprio simpatica, perché è vero che usiamo il termine “navigare”, ma ci perdiamo il vero senso del viaggio, che è quello all’origine della rete stessa: la curiosità e la scoperta. A meno che io non forzi la mano all’algoritmo, a meno che io non vada volontariamente e costantemente alla ricerca di cose nuove, le piattaforme continueranno a proporre argomenti che già conosco, che già mi interessano. Continuerò a rimanere nella mia comfort zone e vedrò tutto ciò che so già.

Ed ecco che chi sostiene una parte politica è convinto di essere circondato da persone che la pensano come lui, chi è ossessionato da un problema (sociale, culturale, scientifico o politico) legge solo contenuti che parlano di quel problema, convincendosi che l’allarme sia ampiamente condiviso dall’opinione pubblica.

C’è qualcosa di affascinante in tutto questo e qualcosa di pericoloso. Affascinante è la capacità di un luogo di essere così liquido, di plasmarsi, di essere sempre diverso. Pericoloso è invece il fatto di non riuscire ad aprire la mente delle persone verso nuovi e differenti orizzonti di pensiero e di situazioni.

E così, la rete che ci fa sentire così tanto liberi, in realtà ci trattiene in una bolla che siamo noi stessi a costruire, o meglio a definire.

L’unico modo per arginare questa gabbia è forzare l’algoritmo, o forse noi stessi, andando alla ricerca di nuovi contenuti o seguendo anche ciò che non ci interessa in modo particolare. In relazione a questo, però, c’è da dire che non tutte le piattaforme sono uguali e i vari social network generano filter blubble più o meno ampi. Perché? Semplicemente perché suscitano comportamenti differenti da parte degli utenti, li invitano a compiere azioni differenti e ad avere atteggiamenti differenti.

Quindi avere un filter bubble più ampio su Twitter è ben più facile di averlo su Facebook. Perché? Perché su Twitter io posso cliccare “Follow” per seguire il profilo di un politico che non amo o di un giornale di cui non condivido la linea editoriale, ma su cui voglio comunque essere informata. Su Facebook, invece, dovrei cliccare su “Like” e la questione è nettamente diversa, tanto che potrebbe crearmi fastidio. Ma questo è il magico mondo del microcopy, di cui parlerò presto perché mi appassiona sempre di più!


Photo by JOSHUA COLEMAN on Unsplash

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